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Col SENno del poi

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Dopo essersi stracciati le vesti per la decisione di Trump di uscire dall’Accordo di Parigi sul clima, la premiata ditta Calenda & Galletti ha finalmente partorito la nuova Strategia Energetica Nazionale (SEN) destinata a rimpiazzare quella del 2013 che, a rileggerla oggi, sembra scritta dagli amanuensi benedettini. Il nuovo documento, per gentile concessione dei poteri costituiti, è in consultazione pubblica dal 12 giugno per ben un mese, cioè chiunque può inviare i suoi commenti caricandoli da questa pagina del sito del MISE. Forse i tempi così ravvicinati servono ad evitare che anche la nuova SEN diventi obsoleta prima ancora di essere adottata…

Consapevole dell’assoluta irrilevanza politica del gesto, questo post sarà da me inviato come commento alla SEN: mi piace pensare che, col senno del poi, rileggendo queste righe fra dieci o vent’anni qualcuno possa riconoscere la propria scarsa lungimiranza nell’aver preso per buono un documento che ha a mio avviso proprio nella scarsa lungimiranza il suo peccato originale.

Non mi ritengo un esperto della materia in senso stretto, e tanto meno un addetto ai lavori: preliminarmente voglio quindi fare un endorsement delle sagge e competenti considerazioni svolte dagli scienziati del Gruppo “Energia per l’Italia” (disponibili a questo link), che hanno correttamente evidenziato i limiti della nuova SEN sia nell’impostazione generale che negli indirizzi tecnici e programmatici. Per quanto mi riguarda, vorrei limitarmi a sottolineare l’inadeguatezza della SEN sotto due profili, quello dell’impronta politica che la sottende e quello puramente quantitativo rispetto agli obiettivi di decarbonizzazione.

Per il primo, leggendo il documento si ha la netta percezione che la politica abbia abdicato al suo ruolo di guida e indirizzo, da un lato limitandosi a prendere atto degli sviluppi delle nuove tecnologie senza esercitare alcun vero stimolo in una precisa direzione, e dall’altro dichiarando nei fatti la propria acquiescenza alle scelte industriali compiute dai soliti noti, ovvero i potentati economici che hanno sin qui fatto il bello e il cattivo tempo in Italia. Ancora una volta, dimostriamo di essere governati da una politica debole, succube del potere economico-finanziario. Guardiamo ad esempio cosa dice la SEN riguardo al settore dei trasporti: minimizzando incredibilmente l’incombente rivoluzione dell’auto elettrica, che sta per cambiare i connotati dell’industria automobilistica mondiale, il nostro governo sostiene candidamente che la mobilità sostenibile potrà essere garantita in primo luogo dal metano e dai biocombustibili. Sì, avete capito bene, lunga vita al motore a scoppio, basta solo tingerlo di verde miscelando i carburanti tradizionali di origine fossile con un po’ di qualcosa che cominci con “bio” e il gioco è fatto. Poco importa che l’ERoEI dei biocarburanti sia un disastro e che l’Italia non possa permettersi di sottrarre vaste estensioni di terre coltivate impiegate per l’alimentazione umana e animale per produrre biomasse da usare come combustibili. Del resto, siamo italiani, come si può obbligare Marchionne, ultimo strenuo difensore dei tubi di scappamento, a produrre quelle vetture elettriche che a lui proprio non garbano? E poi, andiamo, non sta bene neanche stravolgere i piani industriali dell’Eni, che ha bisogno di convertire le sue raffinerie in bioraffinerie e non prova alcuna vergogna nell’ingannare gli italiani con spot che inneggiano all’ambiente evitando di dire che la loro insana passione è oggi quella di alimentare i motori delle nostre auto con l’olio di palma tropicale finalmente abbandonato dall’industria alimentare.

Per il resto, l’impostazione della SEN risente pesantemente dell’ideologia basata sull’incrollabile dogma “solo la crescita ci salverà” del ministro Calenda e del moderatismo oltranzista di Galletti (al suo posto, un altro ministro dell’Ambiente avrebbe preteso senza cedimenti degli obiettivi molto più ambiziosi). Poi, certo, evidentemente il governo non può far finta di non vedere ciò che è sotto gli occhi di tutti: insomma, i padroni del vapore si sono resi conto che non si può continuare a mettersi di traverso alle rinnovabili come si è fatto negli ultimi anni proprio ora che la loro crescente competitività sta sbaragliando i mercati, e allora si saranno detti: facciamo un regalo agli ambientalisti (che troppo spesso si accontentano di poco) e condiamo la SEN con qualche punto percentuale in più di produzione elettrica da fotovoltaico ed eolico, aggiungiamo un pizzico di generazione distribuita, autoconsumo quanto basta, e il piatto è servito. Ma attenzione a non esagerare con le rinnovabili e poi, se vogliamo che l’Eni possa continuare ad elargire dividendi ai suoi azionisti (a partire dal Ministero dell’Economia che ne detiene la quota di maggioranza), la pietanza più succosa, sia nel settore elettrico che in quello termico non può che essere il gas, tanto gas, invisibile e volatile come si conviene ad un combustibile pulito, e se poi non è così amico del clima come ci si ostina a far credere, pazienza. Oltretutto, sostituire il carbone con il gas anziché con le rinnovabili integrate con i nuovi sistemi di accumulo permette al duo C.&G. di cui sopra di mettere sul tappeto tanti bei soldini pubblici da investire nelle infrastrutture chieste a gran voce dai vari potenziali general contractors che bussano alla porta dei ministeri: gasdotti, rigassificatori et similia, tutti – attenzione – indispensabili per la sicurezza energetica, che si sa essere garantita molto di più da produttori di cui è ben nota la stabilità geopolitica, tipo gli stati del Golfo, la Russia o l’Algeria, piuttosto che dal Sole!

Mettendo da parte il sarcasmo, veniamo brevemente ai numeri della SEN, che ci dicono con che velocità il governo intende traghettare l’Italia dalle fonti fossili alle rinnovabili e tagliare le emissioni di gas serra coerentemente con l’obiettivo dichiarato della decarbonizzazione. Ora, anche un bambino capirebbe che per stabilire i target quantitativi da raggiungere occorre chiedere alla scienza qual è l’entità delle misure di mitigazione da attuare per avere buone chances di non superare i fatidici 2°C come stabilito nell’Accordo di Parigi. E’ facile farsi belli dichiarando ai microfoni e di fronte alle telecamere che “ognuno deve fare la sua parte”, ma in base a cosa decidiamo qual è la nostra parte? L’imperativo di tutti deve essere quello di scongiurare l’apocalisse climatica globale, di cui scorgiamo terrorizzati i segni ogni giorno di più. Se è questa la priorità assoluta e non la competitività (ma poi, cosa c’è di più competitivo dell’energia gratuita di sole e vento?), la velocità del processo di decarbonizzazione che deve mettere in campo l’Italia per fare sul serio la sua parte non può essere decisa da Calenda e Galletti in base a calcoli politici di corto respiro o a una idea superata di sicurezza degli approvvigionamenti energetici, ma deve scaturire dagli scenari a lungo termine e dalla migliore evidenza scientifica oggi disponibile. E questa evidenza ci dice molto semplicemente che per avere concrete possibilità di essere efficace la decarbonizzazione deve essere rapida, mentre quella descritta nella SEN è lenta. E’ tutto qui. Girarci intorno non serve a cambiare la realtà: il target complessivo del 27% di rinnovabili al 2030, benché non in contrasto con gli attuali obiettivi comunitari, è del tutto insufficiente, così come lo sono gli obiettivi in tema di efficienza energetica. L’Italia deve smetterla di frenare in sede UE le ambizioni dei Paesi che puntano a tagli più consistenti delle emissioni. L’Italia, il Paese del Sole, può e deve fare molto di più.

Per dare un’idea del divario fra gli obiettivi programmati dalla SEN e quelli necessari, si può ricorrere ad un autorevole studio indipendente pubblicato lo scorso marzo su Science, ampiamente condiviso dalla comunità scientifica. In esso, il decennio 2020-2030 viene definito quello in cui gli sforzi da attuare dovranno essere “erculei”, con un dimezzamento netto delle emissioni antropogeniche globali e la messa al bando dei motori a combustione interna nelle auto di nuova costruzione (altro che biocarburanti!). Al confronto, se si eccettua l’uscita dal carbone entro il 2030, i target descritti nella SEN appaiono quasi risibili, non degni di un Paese ad economia avanzata, che oltretutto ha un disperato bisogno di modernizzazione e a cui non dovrebbe mancare il coraggio di compiere scelte dirompenti, le sole che possono dare un segnale di autentica speranza ai giovani e alle future generazioni.

Col senno del poi, non avremmo compromesso così seriamente gli ecosistemi planetari per correre dietro alle sirene della crescita economica, così come non avremmo trivellato a destra e a manca per estrarre combustibili fossili, trovandoci oggi a dover fronteggiare cambiamenti climatici così devastanti da poter condurre l’umanità intera nel baratro.

Con questa SEN, col senno del poi, fra vent’anni qualcuno potrebbe a buon diritto maledire le scelte politiche poco ambiziose che compiamo oggi insieme a chi ne porta la responsabilità. Facciamo uso allora del senno dell’oggi, che anche nell’era della post-verità non manca se lo si cerca bene, e proviamo una volta tanto a volare alto scrivendo una politica energetica che guardi lontano e si dimostri all’altezza delle sfide epocali che siamo chiamati ad affrontare.


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